Le fasi del viaggio


Il viaggio prevede diverse fasi ed ognuna di essa è accompagnata, sostiene e provoca diverse emozioni.

1.1   I preparativi

Già prendere coscienza del bisogno di partire, ascoltare il richiamo della strada, accoglierlo dentro di sé per arrivare infine alla reale decisione di intraprendere un viaggio, sono processi che richiedono tempo, sensibilità, attenzione e perché no, sincerità e coraggio. E’ in questi momenti che la persona inizia a trasformarsi e a dare vita, dentro di sé, alla figura del viaggiatore.

Poiché il viaggio che descriviamo qui  prende raramente la forma di un bighellonare senza meta, alla decisione di partire segue solitamente una fase in cui il viaggiatore deve scegliere la meta, o le mete, del proprio viaggio: egli inizia allora a selezionare e valutare diverse ipotesi, mentre gli tornano alla mente le narrazioni di esperienze altrui; la razionalità e le emozioni si alternano e il futuro viaggiatore tenta di soppesare i pro e i contro di ogni destinazione. La decisione è inoltre fortemente influenzata dal coinvolgimento emotivo: il viaggio, presupponendo dei distacchi, mette sempre alla prova i sentimenti delle persone.

Dipendentemente dal carattere, questa fase di decisione può essere rapida e impulsiva, dominata dall’istinto e realizzata in pochissimo tempo; oppure, può dilungarsi nell’incertezza, essere frenata da dubbi e paure, fare più volta passi avanti e marcia indietro. Ma comunque, in entrambi i casi e in tutte le loro sfumature, il peso dell’immaginario è notevole: le aspettative verso gli eventi futuri e le prefigurazioni costruite dalla mente in accordo con i desideri e le emozioni portanto alla scelta dei tempi, dei luoghi e dei modi del viaggio.

Una volta deciso il tipo di viaggio, inizia la vera e propria fase, anch’essa variabile, della preparazione. C’è chi inizia da subito, appena presa la decisione di partire, a prepararsi per il viaggio, e chi, quasi per scaramanzia –se non per semplice pigrizia- fa tutto all’ultimo momento, o non fa praticamente nulla. In entrambi i casi, quando ha inizio il viaggio? Quando si tira fuori la valigia o lo zaino dall’armadio, o quando si varca la soglia di casa?

Forse, il viaggio inizia quando, nella mente, i tempi del quotidiano cominciano a distorcersi e ad assumere diversi significati. Il tempo, come sostiene Villamira, prende una forma “a cono” e tende sempre più a restringersi in vista dell’attimo della partenza.

Gli ultimi giorni, o momenti, prima della partenza si fanno sempre più fitti di cose da sistemare e decisioni da prendere: dalla preparazione del  bagaglio, alla raccolta di informazioni, alla sistemazione dei documenti… ogni gesto si fa sempre più mirato alla realizzazione del viaggio. Le emozioni si fanno più intense e i pensieri sono rivolti più spesso al luogo da raggiungere e alle terre da percorrere. Inizia un distacco mentale prima che fisico: la mente è in viaggio, prima che anche il corpo prenda la strada.

1.2   La partenza

La partenza è uno di quei momenti “magici” in cui ci si trova a riflettere su quello che si sta facendo, ci si rende conto che la vita offre mille alternative, delle quali si sta scegliendo una in particolare, imboccando quella strada, salendo su quella nave, prendendo quell’aereo…Naturalmente la partenza, vista in quest’ottica, è una partenza fatta in completa libertà, anzi, fatta proprio per dar voce alla propria libertà. Si deve perciò distinguere le partenze volontarie da tutte quelle, molto numerose nella storia dell’umanità, fatte per costrizione: nomadi, esuli, fuggiaschi, profughi, prigionieri, schiavi… viaggiano senza aver scelto di partire. I loro sono spesso viaggi di sola

andata, o viaggi senza fine.

Per chi è costretto a partire, la perdita della casa è la perdita della propria identità: è una ferita profonda, che Günther Anders, profugo della Germania nazista, descrive come la sensazione “di non esserci più”.

Una grande parte dell’ umanità è o è stata costretta a mettersi in cammino a causa di forze che sfuggono al proprio controllo: miseria, repressione, guerra, persecuzione. Uomini, donne, bambini partono con i pochi averi che riescono a portare con sé e viaggiano come possono, pagando cifre enormi per essere trasportati da imbarcazioni traballanti, clandestinamente sui treni, nascosti nei camion o nelle navi, o a piedi. Sono viaggi di fuga, di smarrimento e paura. anche nel caso delle loro partenze si respira spesso una sofferenza nel momento del distacco, anche se ovviamente si tratta di una sofferenza del tutto diversa.

Chi parte, come abbiamo avuto modo di osservare, deve affrontare la separazione, prima di tutto dal “vecchio se stesso”, fatto di abitudini, ruoli sociali, certezze. Poi, deve lasciare anche gli altri, la famiglia, gli amici. Ed anche se il viaggio attira la mente del viaggiatore e riempie il suo cuore di gioia, inevitabilmente crea sensazioni di ansia, tristezza e paura. La sofferenza della separazione è la prima componente del processo trasformatore offerto dal viaggio: nel momento del distacco ci si lascia alle spalle legami e rapporti. Forse il momento dell’addio è talvolta così doloroso, non tanto a causa di quel particolare distacco, ma piuttosto perché porta alla memoria, anche se inconsciamente, i ricordi di separazioni del passato, fa rivivere le sensazioni di quegli strappi inevitabili che avvengono durante la crescita della persona. La capacità di partire e di affrontare il distacco per scelta, diviene allora un’importante momento di crescita: il viaggio contribuisce all’accettazione di un destino che ha inizio con la prima partenza, la nascita, e termina con l’ultimo viaggio, la morte. Lentamente, chi è abituato a viaggiare, in seguito a molte esperienze di separazione “si abitua”, o meglio mette in moto dei meccanismi di difesa contro le emozioni dolorose del distacco. E’ una caratteristica del viaggiatore quella di vivere con sempre meno fatica e difficoltà il momento della partenza. La perdita dell’angoscia del distacco comporta dunque un guadagno: la capacità di affrontare la separazione.

Il dolore della partenza, naturalmente, lo sente anche chi resta e forse ne soffre di più: la scelta di partire è infatti di chi parte, chi rimane a casa deve semplicemente accettarla. E, mentre il viaggiatore va incontro alle novità e alle speranze che lo hanno spinto ad andare, chi resta, rimane con la propria vita, ma una persona in meno vicino a sé. Il dolore, le incomprensioni e la sofferenza generate dal distacco, da quel distacco scelto dal viaggiatore, fanno riflettere sulla realtà complessa dell’essere umano, spesso ricco di contraddizioni.

Nel momento del distacco, ogni cultura svolge i suoi piccoli riti, ogni persona compie quei gesti che rendono speciale il momento della partenza : un biglietto, un bacio in più, una telefonata, una preghiera… qualcosa che auguri la felicità a chi parte e a chi resta. Un saluto molto bello è quello indonesiano : Salamat jalan ! “buona strada”, dedicato a chi parte, e Salamat tingall! “buona permanenza”, l’augurio per chi resta.

La partenza è tanto più gioiosa, quanto più il viaggio viene interpretato come cambiamento, rinnovamento, abbandono di qualcosa di spiacevole, viaggio verso una realtà sufficientemente sconosciuta da risultare attraente e da suscitare curiosità.

Varcata la soglia, il primo passo strappa alla quotidianità e consegna alla strada: e il mondo si dispiega davanti agli occhi del viaggiatore, che esita ancora… Inizia così l’esperienza concreta del viaggio di cui unico protagonista, rimasto solo, è il viaggiatore:

1.3   Il Transito


La libertà che inizia con la partenza, assume una forma più attiva nel transito, dove si associa al movimento. Anche in questa fase del viaggio troviamo degli aspetti contraddittori: la libertà del transito è infatti ambigua. Se da un lato il viaggiatore ha tutto il mondo davanti a sé, dall’altro, come abbiamo avuto modo di vedere, deve pur seguire una strada: la libertà risulta dunque limitata e contenuta nel sentiero, nella direzione, nella rotta… oltre che dal mezzo di trasporto. Ma l’essere incanalata non sminuisce la ricchezza della libertà, ma anzi le dà ordine. Chi si sposta infatti spesso vive un senso di serenità proprio grazie alla sequenza ordinata degli eventi: un passo dopo l’altro, il rumore ritmico delle onde contro una barca, il dondolio di un treno, lo

stato di trasognamento indotto dal rumore del viaggio e dal panorama esterno, un trasognamento che pare quasi strapparci a noi stessi e indicarci la via d’accesso a pensieri e ricordi che non riuscirebbero a emergere in circostanze più ordinarie.

Dice Alain de Botton “I viaggi sono le levatrici del pensiero. Pochi luoghi risultano più favorevoli di un aereo, una nave o un treno in movimento al conversare interiore. ….Spesso i grandi pensieri hanno bisogno di grandi panorami e le riflessioni introspettive che rischiano di impantanarsi traggono vantaggio dal fluire del paesaggio.”

Nello spostamento, mentre il mondo scorre più o meno veloce sotto gli occhi del viaggiatore, questo scopre il “suo” punto di vista e si rende meglio conto della prospettiva; come riporta James Gibson infatti “….la legge principale della prospettiva in movimento è che questa è centrifuga per metà della serie e centripeta per l’altra metà….Quindi il flusso dell’espansione è la direzione in cui si sta andando, mentre il fulcro della contrazione è la direzione dalla quale si proviene”.

Lo spostamento permette di sentire questa tensione, la sensazione di provenire da un luogo e di dirigersi verso un altro, come se si fosse una freccia scagliata da un arco; e rende più comprensibile non solo la prospettiva fisica, ma anche, e soprattutto, quella psicologica ed emotiva. Nel viaggio infatti il movimento diventa il mezzo di percezione: il viaggiatore si sente osservatore di un mondo che scorre, mentre le immagini si srotolano davanti ai suoi occhi. E, nella velocità del cambiamento, è il viaggiatore il punto di riferimento: la coscienza personale è il centro del suo viaggio.

Per chi vuole godere del transito e vive il viaggio come un percorso, e non come uno spostamento, il mezzo è fondamentale e può essere alla base della scelta del viaggio.

La scelta del mezzo di trasporto fa il viaggio; è il cuore dell’andare, con i suoi ritmi, rumori, tempi, difficoltà, scoperte ed emozioni.

Oggi l’esperienza del transito, in sintonia con i “tempi” imposti dalla moderna società, viene attenuata dalle nuove tecnologie, sempre più rapide e isolate rispetto al territorio che attraversano. Certo, i nuovi mezzi di trasporto sono fondamentali, regalano possibilità insperate, offrono l’opportunità di vedere fette di mondo che, altrimenti, resterebbero irrimediabilmente irraggiungibili; ma forse, recuperare il senso del viaggio, dello spostamento, aiuterebbe ognuno a godere di più dei luoghi raggiunti, a confrontarsi quindi maggiormente con se ed i propri vissuti apprezzando la meravigliosa opportunità offerta dalle evolvere delle emozioni.

Ecco perché, e aggiungo una nota di carattere personale, ho scelto la moto come mezzo di trasporto durante i miei viaggi: la mente si svuota, il ritmo prende il sopravvento, il tempo si distorce. Il viaggio in moto richiede vera partecipazione, presenza, è un’esperienza totalizzante che porta ad essere realmente parte “dell’esperienza viaggio”; il viaggio in moto richiede una resa incondizionata al vissuto fisico, emozionale e mentale che abbatte ogni costrutto o difesa psichica consentendo di sentirsi, di  “annusare” e assaporare ogni istante ed ogni km.

1.4   L’Arrivo

L’arrivo nel posto desiderato comporta il raggiungimento di un traguardo e di un appiglio, implica una pausa, una sospensione di un flusso sempre più minaccioso che può suscitare ansie, implica la realizazzione di  un’aspettativa. Si pensi alla necessità diffusa di informare subito i congiunti sull’andamento del viaggio, alla situazione più rilassata e tranquilla di chi ha raggiunto l’albergo, nuova casa, guscio protettivo, punto di riferimento e di ristoro, per poi riincamminarsi verso nuovi orizzonti, nuovi percorsi con le aspettative, gli abbandoni, le ricerche, i ritrovamenti, e ancora i ritorni che essi comportano.

Ma l’arrivo non si esaurisce in un attimo; l’ arrivo è un processo che richiede tempi diversi a seconda del luogo e dello scopo del viaggio. All’emozione della gioia per il raggiungimento della meta, si può anche mescolare una certa tristezza: la sensazione che una parte importante del viaggio sia finita, che un’altra fase è superata.Quando il desiderio del viaggiatore è quello di raggiungere una terra per scoprirla, viverla e capirla, almeno in parte, l’arrivo è un processo di identificazione e sviluppa un senso di coesione tra la persona e il luogo. Le procedure dell’arrivo infatti mettono in moto quei processi sociali di esclusione e di incorporamento sui quali si costituiscono i confini delle società territorializzate: l’arrivo porta il viaggiatore a relazionarsi con strutture particolari come cancelli, mura, dogane e recinti, che regolano l’afflusso delle persone e distinguono l’ingresso lecito da quello improprio o trasgressivo.

I popoli antichi per regolare l’arrivo di uno straniero fanno uso di due vie principali: le battaglie d’ingresso e la mediazione delle donne. Lo scontro infatti è uno dei modi con cui si afferma un limite e si determina il tipo di rapporto con l’estraneo: è il primo linguaggio con il quale si marcano o attraversano i confini. Alla violenza si possono sostituire i riti, delle prove ad esempio, alle quali viene sottoposto il nuovo arrivato: si può stabilire l’identità di un ospite interrogandolo o sottoponendolo ad un esame. Oggi queste prove e interrogatori vengono sostituite dai documenti. Anticamente, ma in parte anche oggi, le donne svolgono un ruolo importante nell’inserimento degli stranieri all’interno di una società: le donne, tradizionalmente più dedite alla vita sedentaria, incarnano l’ordine sociale e possono contribuire ad introdurre gli estranei nei rapporti di parentela.La prima alternativa che si presenta agli stranieri è quella di essere accolti come amici o come nemici; solitamente, la prudenza dei popoli antichi fa supporre che lo straniero sia un nemico, almeno fino a prova contraria.

Spesso un viaggiatore deve aspettare fuori dalle mura di una città, prima di poter entrare: il periodo di attesa fuori dai confini è un’indicazione essenziale delle intenzioni, pacifiche o ostili, ed offre alla gente del luogo la possibilità di osservare lo straniero e decidere se rappresenta un pericolo o un’occasione propizia.

Le apparenze sono dunque fondamentali nella prima fase di reciproca conoscenza: se infatti un viaggiatore inizia a conoscere la terra in cui arriva da ciò che vede, allo stesso modo i locali giudicano lo straniero basandosi sul suo aspetto, sul suo equipaggiamento e sul modo del suo arrivo. Ma l’estraneo non viene giudicato solo amico o nemico, egli infatti può essere “qualsiasi cosa” e presentare una nuova immagine di se: nell’antichità soprattutto, ciò che egli racconta di se stesso e del paese dal quale proviene, non può essere dimostrato o smentito.

Quando il viaggiatore decide, almeno temporaneamente, di fermarsi, va in cerca in una terra di qualcosa che risponda al suo bisogno di appartenenza. Arrivare, fermarsi, riposare, sono tutte esigenze del viaggiatore, che può sentirsi attratto questa volta dal desiderio di stabilità, e può decidere di entrare a far parte del paese raggiunto. Ma spesso il viaggiatore sceglie di ripartire: forse l’irrequietezza non è stata placata, forse non è stato raggiunto ciò che realmente si stava cercando; oppure, semplicemente, lo spirito del viaggiatore, una volta ritrovata la sensazione della stabilità, desidera nuovamente il rinnovamento, lo spostamento, la libertà: il viaggio.

E quando si avvicina l’ora della partenza, si riaffacciano al cuore del viaggiatore le emozioni della partenza: i rapporti instaurati infatti, anche se il tempo trascorso insieme questa volta non è tantissimo, sono spesso intensi e profondi, anche perché durante il viaggio si cerca più spesso il contatto con le persone, si è più aperti e curiosi. Questi incontri sono dunque capaci di segnare l’animo del viaggiatore, perché fanno parte di un periodo speciale della vita. Partendo sembra allora di lasciare amici di vecchia data, la mente inizia a ricordare le esperienze e le emozioni vissute e si ripresentano le sofferenze e le aspettative caratteristiche dell’inizio di un viaggio

La fine del viaggio, il ritorno, è una ricongiunzione circolare al punto di partenza, recupero di ciò che è noto e caro, in cui è implicito il concetto di nostalgia. Possiamo quindi affermare che il valore del viaggio non consiste nell’arrivo alla meta, quanto piuttosto nell’esperienza stessa del viaggiare.

Un ultima fase del viaggio infine è quella del ricordo: chi parte per un viaggio tende a cogliere gli stimoli per lui più significativi e al suo ritorno porta con sè narrazioni che inevitabilmente raccontano quei luoghi nei termini in cui lui stesso li ha vissuti in termini emotivi.

  • Conclusioni