Il sesto Chakra


Anja, il sesto chakra, detto anche il terzo occhio, si trova all’altezza della fronte ed il suo nome in sanscrito significa conoscere, percepire ed anche comandare. Il suo periodo evolutivo si realizza attraverso quei processi che Piaget individua e descrive come caratterizzanti del periodo delle Operazioni Formali; il sesto chakra si sviluppa quindi con la capacità di pensare per modelli simbolici e astratti ed ha il momento di fioritura nell’età adolescenziale quando si verifica un riconoscimento della propria identità più conscio rispetto a quello avvenuto in età infantile.

Questo centro energetico possiede alto significato psichico. Ad esso è correlata la capacità e l’equilibrio psicospirituale, la corretta percezione di sé in relazione a sé stessi, ad un livello energetico che possiamo definire intuitivo e  sensitivo. Il Chakra del Terzo Occhio è la sede delle più elevate facoltà mentali, delle capacità intellettuali, della spiritualità, nonché della memoria e della volontà; il suo equilibrio prevede buone capacità intuitive e percettive che consentono lo sviluppo nella persona delle capacità di immaginazione e creatività.

Una carenza di questo chakra comporta nell’individuo una ridotta capacità intuitiva, una scarsa capacità nell’osservare il mondo da diversi punti di vista, ad immaginare. La negazione è il processo che accompagna la carenza di questo chakra; ciò che l’individuo non può, non vuole vedere, non esiste. Nell’eccesso di apertura del sesto chakra si verifica invece il fenomeno inverso: la persona possiede numerose immagini dissociate dall’esperienza vissuta che possono presentarsi in maniera persecutoria nei sogni o comparire come fantasie ossessive. L’eccesso di questo chakra descrive gradualmente una serie di disturbi legati all’attività psichica “…l’intera gamma, da leggeri problemi nevrotici a una psicosi vera e propria.” (Anodea Judith).

L’apertura funzionale di Anja avviene attraverso l’espansione della coscienza, sostenuta dalla meditazione, dall’esercizio sulle arti visive (Jung definì i Mandala come simboli riflettenti la totalità[1]) e da un lavoro sui sogni.



[1] Per Jung i mandala, quali figure ordinate, sia nell’antichità che nei tempi moderni, rappresentano l’estetica e l’ordine, il bisogno ancestrale del ritrovare la dimensione spirituale, il senso mistico dell’esistere: l’uomo quale essere posto tra il cielo e la terra che anela alla sintesi tra i due mondi. L’ordine quale realizzazione di sintesi tra ciò che lasciato alla propria forza si disporrebbe caoticamente e che invece guidato dal bisogno della crescita interiore si organizza pur mantenendo la propria diversità individuale dalle singole parti componenti. Accordo e armonia diventano sinonimi dell’ordine.